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La sfida dei cinesi: «il ponte sullo stretto lo facciamo noi»

I cinesi in Sicilia. Forse fra i grandi popoli della terra sono gli unici a non essere mai sbarcati nell’Isola nonostante qualcuno, non proprio a posto con gli studi, si ostini a pensare che la Palazzina Cinese, anziché padiglione di caccia di Ferdinando IV, rappresenti il monumento più famoso lasciato a Palermo dall’Impero del Dragone. Stavolta, però, potrebbero arrivare per davvero: ma non con giunche e jian (la spada della dinastia Ming). Casomai con un assegno a molti zeri per costruire il Ponte fra Sicilia e Calabria.
Annuncia il presidente della Società Stretto di Messina, Giuseppe Zamberletti: «Ci sono capitali cinesi pronti a finanziare l’opera». Colpo di scena. Fa anche i nomi citando la China Investment Corporation (Cic) di cui aveva fatto cenno già l'anno scorso il ministro Matteoli. Ma non si ferma qui: «Diverse società di costruzioni cinesi sono interessate». Anche qui un nome: China Communication and Costruction Company (Cccc) un colosso da trenta miliardi di fatturato che vanta realizzazioni da primato. Per esempio il Ponte di Huagzhou, il più lungo del mondo (36 chilometri). Oppure quello di Su Tong Yangtze, appena più corto (32 chilometri).
Rivela Enzo Siviero, docente all’Università di Venezia e consulente dei grandi gruppi internazionali che si occupano di infrastrutture: «Nelle settimana scorse a Istanbul, dove Astaldi sta per iniziare la costruzione del terzo ponte sul Bosforo, c’è stato un incontro fra i rappresentanti della Cccc e Giuseppe Fiammenghi, direttore generale della Società Ponte di Messina. I cinesi hanno consegnato un memorandum in cui si dichiarano disponibili a realizzare l’opera».
I cinesi in Sicilia dunque. Chi l'avrebbe mai detto? Soprattutto adesso che il progetto va verso il naufragio e i due anni di proroga concessi dal governo hanno il solo scopo di rinviare il pagamento della penale di 300 milioni alla ditta costruttrice.
L’interesse per il Ponte di Messina porta alla ribalta protagonisti di primissimo piano. China Investment Corporation è il fondo sovrano di Pechino. Significa che è direttamente il governo cinese a puntare sul Mezzogiorno. Dal canto suo la Cccc sta costruendo molte delle grandi opere in Cina. Ma non c’è conflitto con gli interessi del general contractor Eurolink? «No, penso che si possano mettere insieme interessi convergenti, industriali e finanziari» dice Giuseppe Zamberletti. Rivela Enzo Siviero: «Il progetto presentato dalla Cccc è molto più ampio del Ponte». L'hanno chiamato piano Ulisse e riguarda una piattaforma logistica che dovrebbe arrivare da Gioia Tauro a Trapani. Sul tavolo risorse sostanzialmente illimitate: «Anche cento miliardi, se servono». Si tratterebbe, infatti, non solo di costruire il Ponte ma di rifare tutti i collegamenti ferroviari da Napoli in giù e ristrutturare i porti. Per la Sicilia il raddoppio della ferrovia da Messina a Trapani: un progetto troppo costoso per le Ferrovie. Per non parlare della ristrutturazione dei grandi approdi commerciali. «Ci sarebbe lavoro per 40 mila persone per almeno dieci anni» assicura Siviero.
Un libro dei sogni? Probabilmente si. Le vischiosità del sistema italiano sono infinite e le resistenze al Ponte infinite. Ad organizzarle inizialmente sono stati i Verdi, ma adesso ha trovato l'adesione di fasce importanti della sinistra. Berlusconi (nonostante le resistenze della Lega) voleva farne il simbolo del suo passaggio governativo. Tanto è bastato per moltiplicare le ostilità. Oltre al costo certamente salato per lo Stato. «Ma poi vedrete che il Ponte si farà lo stesso -annuncia ottimista Siviero-. Qualcuno prima o poi farà i conti e tra penali, indennizzi e rimborsi scoprirà che cancellarlo costerebbe più che costruirlo».
Tanto meglio se a metterci i soldi fossero i cinesi. Il loro obiettivo è di fare del Sud la piattaforma logistica per l' Europa e per tutto il bacino del Mediterraneo. Già oggi le gigantesche navi porta-container che attraversano Suez attraccano a Gioia Tauro di cui i cinesi possiedono il 30%. Battelli più piccoli e treni smistano il traffico verso i grandi mercati del Nord-Europa e verso il nord-Africa. Solo che far uscire le merci dal porto calabrese (soprattutto via terra) è operazione faticosa. «Così -dice Siviero- spesso i comandanti preferiscono tre giorni in più di viaggio per arrivare a Rotterdam. A giustificare lo spreco sono le carenze delle nostre infrastrutture. Facendo leva sul Ponte la Sicilia potrebbe diventare la piattaforma per gli scambi con la Cina recuperando, dopo cinque secoli, centralità nel commercio mondiale. La fantasia corre troppo? Probabilmente. Ma sognare non costa nulla».
L’Italia si trova un po' come nel 1946, senza il concorso di capitali extra europei non sarebbe ripartita. Il ritmo di sviluppo cinese è rallentato perché il mercato europeo viene a mancare. Quindi, si tratta di interessi geostrategici convergenti. Certo la diffidenza a realizzare le opere nel Mezzogiorno è profonda. Ma è mai possibile che le ferrovie si fermino a Napoli come Cristo a Eboli? Nel progetto dei cinesi i due piloni del Ponte potrebbero trasformarsi in altrettanti grattacieli. Il mito che diventa cemento armato: ma Scilla e Cariddi come si scrivono in cinese?

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