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In 10 anni in Sicilia trentamila occupati pubblici in meno, centomila privati in più

Emerge dal censimento dell’Istat. Un balzo in avanti delle industrie alimentari, del settore della ristorazione e della sanità privata

I siciliani hanno ridisegnato la mappa del lavoro nell'Isola. Lo hanno fatto in maniera silenziosa, nell'arco di appena dieci anni; e principalmente lo hanno fatto senza ingerenze della politica. La messe di dati e di indicazioni, svelata dall'ultimo censimento dell'Istat, risulta di interesse strategico nel momento in cui il Governo della Regione dichiara, forse per la prima volta, di volere mettere mano a un «piano per lo sviluppo» e mentre sta per iniziare la trattativa con l'Europa per destinare i fondi comunitari del ciclo 2014-2020; del resto una Regione che volesse programmare il proprio futuro non potrebbe certo ignorare i segnali che arrivano dal territorio.
Il fatto più eclatante è la diminuzione in un decennio di quasi trenta mila posti di lavoro nel «pubblico» e l'aumento di quasi cento mila lavoratori nel «privato»; il censimento non considera il lavoro nero. In una Sicilia che la credenza comune vuole interessata soltanto al «posto», meglio se pubblico, questi dati cambiano il profilo del mercato e forse spiazzano i «professionisti» dell'assistenzialismo.
I dati del censimento, acquisiti con la collaborazione della sede di Palermo dell'Istat, fotografano il periodo dal 2001 al 2011 e non registrano quindi gli effetti del «biennius horribilis» 2012-2013; tuttavia questa circostanza cambia assai poco nella valutazione delle profonde trasformazioni intervenute in Sicilia.
La diminuzione di posti di lavoro nel pubblico è «merito» di Roma; è l'effetto della manovra nazionale di blocco del turn over che ha interessato l'intero comparto dell'occupazione pubblica e che in Sicilia ha manifestato i suoi effetti soltanto nell'istruzione, essendo le altre attività di amministrazione pubblica di competenza della Regione Siciliana. E la nostra Regione in questi anni non ha lavorato certo per ridurre i propri dipendenti.
È il mercato del lavoro privato, però, quello che desta maggiore interesse per i profondi cambiamenti intervenuti ma anche perché dimostra, oltre ogni ragionevole dubbio, un cambio di approccio, che probabilmente demitizza tanti luoghi comuni. I quasi cento mila posti di lavoro creati in questi dieci anni nel «privato» sono il risultato di andamenti divergenti nei vari segmenti dell'economia siciliana.
Perdono pesantemente battute l'industria del petrolio, dei prodotti chimici e quella della fabbricazione di computer, che dimezzano gli occupati.
Fanno invece un robusto balzo in avanti le industrie private che trattano i rifiuti, l'edilizia specializzata, la ristorazione, l'industria alimentare, le libere professioni e la sanità privata.
Forse si sta concludendo la stagione della colonizzazione «buona» del nostro tessuto produttivo e si sta aprendo una nuova stagione, nella quale l'impresa «locale» scopre di potere, comunque, giocare un ruolo nella partita del futuro.
Questi dati, insomma, ci parlano di una Sicilia che vuole cambiare e che si impegna nella ricerca di occupazione nel privato e quindi di lavoro vero.
Del resto passeranno ancora decenni prima che la Regione e i Comuni siciliani possano tornare sul mercato a cercare quei nuovi profili professionali di cui tanto avrebbero bisogno. Su questi cambiamenti bisogna che si rifletta da parte di chi ha l'onere di programmare il futuro di questa terra, e ci si impegni affinchè l'impresa privata, nella sua più ampia accezione, conquisti anche in Sicilia lo spazio, il ruolo e l'immagine che una dissennata politica regionale, tutta protesa a massimizzare l'occupazione pubblica assistita, le ha sempre negato.

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