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La Fiat se ne va, inveire o capire

Ieri mattina la Fiat ha chiuso un ciclo storico durato 115 anni. L’ultima assemblea dei soci ha votato la fusione con Chrysler che comporta sostanzialmente l’abbandono di Torino. La nuova azienda avrà sede ad Amsterdam, pagherà le tasse a Londra e le sue azioni saranno scambiate a Wall Street. Milano, e in genere l’Italia, diventeranno una delle aree di insediamento del gruppo.
Importanti, ma non più il centro dell’impero. Il gioco della cronaca offre una coincidenza non trascurabile: nelle stesse ore in cui si celebrava l’addio di Fiat arrivava da Abu Dhabi una mail nella quale James Hogan, amministratore delegato di Etihad dava il via libera all’accordo con Alitalia. Formalmente l’operazione è la stessa: una fusione societaria a Torino e una fusione societaria alla Magliana, sede della compagnia aerea.
Gli effetti giuridici sono i medesimi: vanno via due grandi aziende italiane, due marchi che per anni hanno simboleggiato nel mondo la capacità del Paese di diventare una grande nazione industriale partendo dalla povertà e da una guerra perduta.
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