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I piatti salati profumano di frutta
È un tripudio di colori e freschezza

Lo chef Montersino: «I siciliani sono chiusi ma anche molto curiosi. Questo fa sì che accolgano un connubio apparentemente così stravagante come il dolce e il salato»

MILANO. Un tripudio di colori, sapori e di freschezza. È la frutta in tutta la sua variopinta essenza a colorare e profumare piatti. Anche quelli salati. Un’unione, il dolce e il salato, appunto, che sarà un ritorno al passato per alcuni, una novità per altri. A dirlo anche i grandi chef che si trovano di fronte clienti vogliosi di novità, desiderosi (pur con qualche accortezza) di sperimentare gusti e contrasti al palato.
«La mia teoria è che una buona cucina deve sempre lasciare qualcosa. A noi italiani piace mangiare bene, e i piatti devono avere sempre un inizio e una fine. E perché relegare la frutta solo in pasticceria?», dice Luca Montersino, chef pluripremiato piemontese ma di origini siciliane, il cui nome è ormai conosciuto in tutto il mondo.
«Frutta e salato è un connubio molto interessante. La gente comune comincia ad apprezzare gli abbinamenti creativi e un po’ meno usuali, ma certamente non si deve esagerare. A noi chef il compito di dare sfogo alla creatività, dando diversa forma della sostanza. La frutta nei piatti salati non è l’ingrediente principale, ma è arricchimento e contrasto». Conferendo quell’agro dolce al salato. Azzardare in cucina, quindi, ma in modo mirato. Stupire senza esagerare, e accontentando il maggior numero di persone. E, perché no, anche i siciliani, popolo da sempre restio alle novità. «L’eccesso di campanilismo può chiudere la mente ad altro. La Sicilia ha i dolci più noti nel mondo. E’ sicuramente più chiuso alle novità, ma è molto curioso. Questo fa sì che accolga un connubio apparentemente così strano come frutta e salato».
Della stessa idea anche Giuseppe Costa, chef de ”Il Bavaglino” di Terrasini. «Già da tempo nel mio menu propongo piatti con contrasto, frutta-salato e caldo-freddo. In realtà ciò affonda le radici nella tradizione. Era usanza dei nostri genitori mettere a inizio pasto la pesca nel vino bianco o rosso a macerare e accompagnare così l’intero pasto». E se riflettiamo bene, anche la cultura siciliana enogastronomica. «Nella pasta con le sarde, non c’è forse l’uva sultanina? La frutta esalta i sapori». I gamberetti crudi con pesca sciroppata al catarratto o la carne di maiale con le nespole sciroppate nello zucchero. «Piatti semplicemente rivisitati da tradizioni secolari, perché la frutta c’è sempre stata nella nostra cultura». Con il pesce, con la carne non fa la differenza. «Se la materia prima è grassa, ci vuole frutta più acida. È un gioco da fare in due. Noi chef proponiamo, il cliente si fida», spiega Vincenzo Candiano, chef de ”La Locanda Don Serafino” di Ragusa Ibla. Nascono così piatti come la tartare di carne di cavallo e bottarga di tonno e i fichi o il carpaccio di pesce, con fragole e tartufo scorzone, o la pesca sciroppata con agnello, l’ insalata di baccala con concentrato di arancia. «I frutti a base acida si avvicinano di più al palato meno esperto. La Sicilia nella sua fortuna o sfortuna è molto legato alle tradizioni e il siciliano un po’ più restio alle novità. Ma apprezza gli abbinamenti più originali.
Un azzardo? Il fegato di vitello arrostito con pere spina dell’Etna cotte al vino rosso, aromatizzata con marmellata di cipolla alla senape piccante o la capasanta con i lamponi e fragole».

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